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La sedazione Palliativa, cos’è e come si somministra

La sedazione Palliativa, cos’è e come si somministra

I recenti casi di cronaca relativi al cosiddetto “fine vita” hanno riacceso l’attenzione sulla sedazione palliativa (SP), procedura terapeutica purtroppo ancora poco nota sia nel mondo sanitario sia nel pubblico generale. Questa poca conoscenza, anche dovuta al fatto che finora i percorsi formativi universitari non hanno quasi mai previsto l’insegnamento sistematico delle cure palliative, favorisce una certa resistenza alla sua attuazione o, ancor peggio, una malaugurata confusione con la morte medicalmente assistita (MMA), termine che ricomprende sia l’eutanasia sia il suicidio medicalmente assistito. Il dibattito mediatico spesso ha contribuito a rinfocolare tale confusione, anche se nei casi di cronaca più recenti si è constatata una maggior qualità dell’informazione e una riduzione delle ambiguità semantiche e concettuali. Questo risultato può essere attributo anche ai numerosi comunicati stampa che la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) ha pubblicato in varie occasioni (1). Al fine di comprendere la differenza tra SP e MMA occorre conoscere gli elementi costitutivi delle due procedure.

 

La sedazione palliativa

Innanzi tutto è necessario riferirsi alla definizione della procedura terapeutica denominata sedazione palliativa (SP). Nel documento  intitolato “Raccomandazioni della SICP sulla sedazione terminale/sedazione palliativa”  tale pratica è definita come “la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta, quindi, refrattario” (2).

Per refrattarietà di un sintomo si intende l’impossibilità di controllarlo adeguatamente con trattamenti tradizionali (ossia che non deprimano lo stato di vigilanza), che siano tollerabili, efficaci e praticabili nelle condizioni e nel tempo disponibili da un sanitario esperto in cure palliative (2) .

Un altro elemento definitorio molto importante è l’ambito temporale in cui viene considerata lecita la sedazione palliativa: la fase di morte imminente (imminent death) che è riferibile agli ultimi 15 giorni di vita. La fase di morte imminente è anche citata in letteratura come “ultime-ore/ultimi giorni” (last hours-last days).

Secondo i dati di letteratura la sedazione palliativa viene prevalentemente effettuata negli ultimi 2-3 giorni di vita.

L’incidenza con cui viene praticata è molto variabile (10-43% dei malati deceduti) dipendendo da molti fattori (case-mix dei malati, setting, competenze professionali, attitudini culturali eccetera); i valori medi sono del 12-16%. Per ciò che concerne la sedazione profonda continua, l’incidenza riportata in letteratura è del 5-15%.

Le indicazioni ad iniziare la SP risiedono sia nell’insorgere di eventi acuti che comportino una situazione di morte incombente sia nel progressivo aggravamento del sintomo psico-fisico che diviene refrattario ai migliori trattamenti possibili.

Gli eventi acuti con rischio di morte incombente sono prevalentemente rappresentati da distress respiratorio per soffocamento ( es. trombo-embolia polmonare massiva, da edema polmonare, da emorragie delle vie respiratorie, da inalazioni massive di materiale gastro-enterico, da sindrome della vena cava superiore eccetera), da sanguinamenti massivi giudicati a carico delle vie digestive e respiratorie, dei grossi vasi del collo o inguinali o di masse tumorali vegetanti, da stati di male epilettico.

In questi casi la SP si può configurare come un trattamento di emergenza a causa dell’ineluttabilità della morte e dell’estrema sofferenza psico-fisica del malato. I setting in cui avvengono queste SP d’emergenza sono ovviamente molteplici e comprendono sia l’ambiente domiciliare, che l’hospice o altri luoghi di degenza come le RSA, i reparti ospedalieri, i dipartimenti di emergenza-urgenza, le terapie intensive (2,3).

I sintomi fisici progressivamente refrattari sono rappresentati sia nelle malattie oncologiche sia in quelle cronico-degenerative da dispnea (35-50% dei casi), agitazione psicomotoria terminale (delirium), (30-45% dei casi), nausea e vomito incoercibili da occlusione intestinale (25%), e stato di male epilettico; il dolore è riportato raramente (5%). I sintomi possono divenire refrattari in ogni malattia oncologica, anche se insorgono più frequentemente nei  tumori del polmone, del tratto gastro-enterico, del tratto testa-collo e della mammella.

Tra le malattie non oncologiche, la comparsa di sintomi refrattari è più frequente nelle patologie neurologiche (sclerosi laterale amiotrofica,  distrofie muscolari,  morbo di Parkinson, sclerosi multipla, demenze eccetera) e nelle malattie respiratorie croniche, cardiomiopatie, nefropatie e patologie metaboliche. Contrariamente a quanto generalmente si pensa, nella fase finale delle patologie non oncologiche la sofferenza indotta dai sintomi refrattari (soprattutto dispnea e delirium) è di analoga intensità se non superiore rispetto a quella presente nel malato tumorale.

I sintomi psichici sono rappresentati dalla sofferenza psico-esistenziale, che in molti casi è direttamente proporzionale alla gravità dei sintomi fisici, ma vi sono casi più rari in cui il distress psico-esistenziale è presente senza essere associato a una sofferenza fisica. Nei casi in cui tale distress sia refrattario ai trattamenti disponibili (trattamento farmacologico o psicoterapeutico, sostegno socioeducativo e spirituale), vi è l’indicazione alla SP.

tipi di SP sono: la sedazione d’emergenza, la sedazione di sollievo o sedazione temporanea, la sedazione intermittente e la sedazione continua profonda.

La sedazione d’emergenza è effettuata nelle fasi immediatamente pre-terminali in malati affetti da eventi catastrofici quali crisi asfittiche, emorragie massive, stato di male epilettico eccetera.

La sedazione di sollievo o sedazione temporanea o sedazione di breve durata (Respite sedation o Transient  sedation ) può essere indicata in fasi di terminalità più precoci per indurre un temporaneo sollievo in attesa del beneficio di trattamenti mirati al controllo dei sintomi o, più frequentemente, per il controllo della sofferenza psico-esistenziale quando la prognosi appare superiore alle 2 settimane. 

La sedazione intermittente (Intermittent sedation) è una sedazione di sollievo ripetuta più volte o ciclicamente (per esempio nelle fasi notturne) concordata con il malato allo scopo di interrompere le fasi di angoscia più profonda e intollerabile.  

La sedazione palliativa profonda o sedazione palliativa profonda continua (Deep continuous sedation) è il tipo di sedazione che viene applicato più frequentemente in cure palliative e prevede un progressivo incremento del livello di sedazione a causa dell’aumento della sofferenza per il peggioramento del sintomo refrattario. Infatti, alcuni autori usano il termine sedazione palliativa proporzionale (Proportionate palliative sedation) proprio per sottolineare questo importante concetto di proporzionalità.

I farmaci utilizzati per attuare la SP sono i sedativi, soprattutto le benzodiazepine (midazolam come farmaco di prima scelta), variamente associati a neurolettici (aloperidolo in primis). Più raramente si ricorre ai barbiturici o al propofol in condizioni particolari. Gli oppiacei non vanno utilizzati a scopo sedativo ma possono essere associati per il controllo della dispnea e del dolore.

L’elenco dei farmaci sedativi utilizzabili è reperibile in vari documenti della letteratura (2, 3).

Si deve infine sottolineare che, essendo l’obiettivo fondamentale della SP ottenere e mantenere un adeguato controllo della sofferenza indotta dai sintomi psico-fisici, non esistono in linea teorica, dosi massime dei sedativi (3).

Distinzioni importanti

La distinzione empirica e morale fra SP e MMA è fondata su almeno tre elementi costitutivi della procedura: obiettivo (o intenzione), tipi di farmaci, dosaggi e via di somministrazione impiegati, risultato finale (1, 4).

Infatti, l’obiettivo (intenzione) della procedura, nella SP è rappresentato dal controllo della sofferenza e non dalla induzione della morte del malato, come invece è nella MMA.

Quanto ai tipi di farmaci, dosaggi e via di somministrazione utilizzati nella SP, essi sono somministrati per ridurre la percezione della sofferenza (tramite una riduzione della vigilanza proporzionata), e non alla rapida induzione della morte, come invece accade nella MMA.

Infine, per quanto riguarda il terzo elemento, il risultato finale, nella SP è rappresentato dalla riduzione della percezione della sofferenza tramite farmaci sedativi, mentre nella MMA coincide con la morte del malato. Pertanto, si può concludere che la SP è completamente diversa dalla MMA poiché quest’ultima ha, invece, l’obiettivo (intenzione) di provocare la morte del malato usando farmaci letali, dosaggi e vie di somministrazione idonei in modo da provocare una rapida morte del malato e il risultato è inevitabilmente la morte dello stesso per azione dei farmaci letali.

Negli ultimi anni si è reso poi evidente che l’ipotizzata anticipazione della morte legata alla SP è smentita dagli studi che, a partire dalla revisione Cochrane, confermano l’assenza di una depressione respiratoria e di una anticipazione della morte nei malati sedati rispetto a quelli non sedati. Per converso, vi sono addirittura studi che riportano una sopravvivenza più prolungata nei gruppi di malati sedati (5, 6)

Infine, si segnala che la liceità giuridica della SP è sancita dalla Legge 21/17 che all’art. 2. Comma 2, indica la SP per il trattamento delle sofferenze refrattarie (legge 219).

 

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Nel settore del medicale da oltre 20 anni, nasco come tecnico di prodotti sanitari (ventilatori polmonari) per poi diventare product specialist , responsabile di sala neurovascular e oggi area manager centro sud Italia

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