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Linee guida e buone pratiche cliniche: non sono la stessa cosa

Linee guida e buone pratiche cliniche: non sono la stessa cosa

Fonte : http://medilogy.it/html/news/linee-guida-e-buone-pratiche-cliniche–.asp

Senza linee guida approvate secondo i canoni dettati dalla legge 24/2017 Gelli-Bianco nei giudizi di responsabilità sanitaria si può fare riferimento all’articolo 590-sexies del codice penale solo nella parte in cui richiama le buone pratiche clinico-assistenziali.
 
Quando le linee-guida saranno emanate, saranno loro “il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità sanitaria penale “.
 
Quelle attuali di linee guida, si possono considerare, secondo la Cassazione, come buone pratiche clinico-assistenziali, anche se i giudici considerano questa eventualità una “opzione ermeneutica non agevole”.
Le linee-guida sono raccomandazioni di comportamento clinico che derivano da un processo di elaborazione concettuale e quindi sono profondamente diverse dalle buone pratiche clinico-assistenziali sia sotto il profilo concettuale che sotto quello tecnico-operativo. 

Naturalmente però se c’è imperizia e negligenza tutto questo non vale e, nel caso della sentenza, il medico va condannato, anche se il reato è estinto per prescrizione agli effetti penali, ma non per quelli civili.

Il ricorso per Cassazione riguarda la condanna penale della Corte di Appello in base agli articoli 113 (cooperazione nel delitto colposo) e 589 (omicidio colposo) del codice penale perché in qualità di medici di una Divisione clinicizzata di cardiologia di un ospedale, omettendo la tempestiva identificazione della patologia (dissecazione aortica) da cui era affetto il paziente seguito dal medico condannato, e omettendo di conseguenza l’effettuazione dell’adeguato intervento chirurgico, provocavano la morte del paziente per tamponamento cardiaco da rottura di dissecazione del segmento prossimale dell’aorta.

Secondo il medico non c’era stata alcuna sottovalutazione di sintomi né alcuna negligenza nell’applicazione dei protocolli di intervento in base alla diagnosi di sindrome coronarica acuta, che in quel momento non aveva alternativa e che sembrava confermata dal buon esito apparente della terapia farmacologica impostata, anche secondo lo stato totalmente asintomatico del paziente, con la regressione del dolore retrosternale e del blocco atriale da cui era affetto.
 
Secondo la Cassazione l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi “il ragionevole dubbio sulla reale efficacia della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio”.

“Al momento dell’estensione della dissezione a tutta la aorta – prosegue la sentenza – stimabile nelle sei-otto ore successive al ricovero, le chances di sopravvivenza, pur inferiori a quelle connesse ad una diagnosi tempestiva, sarebbero state ancora superiori al 50-60%. Ne deriva che le probabilità di successo, con sopravvivenza del paziente, sono rimaste ottime per l’intero periodo in cui è rimasto affidato alle cure del medico, tanto più che si trattava di un paziente relativamente giovane (55 anni), che non risultano accertate, nemmeno all’esito dell’esame autoptico, altre patologie rilevanti e che la struttura d’eccellenza in cui il paziente era ricoverato assicurava la migliore assistenza e professionalità”.
Ma, continua la Cassazione “sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa”.

Nella vicenda decisa dai giudici, in ogni caso, anche volendo accedere alla tesi dell’equiparazione tra linee-guida vigenti e buone pratiche, tale circostanza non avrebbe potuto comunque salvare il medico.
 
Infatti, resta sempre fermo il fatto che l’articolo 590-sexies esclude la punibilità solo se sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali mentre in questo caso il medico ha agito con imperizia e negligenza, accertate dai giudici nel corso del processo, facendo venire meno i due dei presupposti fondamentali per l’applicabilità della legge Gelli.

 

CM Medical Devices

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Nel settore del medicale da oltre 20 anni, nasco come tecnico di prodotti sanitari (ventilatori polmonari) per poi diventare product specialist , responsabile di sala neurovascular e oggi area manager centro sud Italia

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