Sign In

News

Ultimi articoli
Fibrillazione Atriale

Fibrillazione Atriale

La fibrillazione atriale è un ritmo atriale rapido e irregolarmente irregolare. I sintomi comprendono palpitazioni e talvolta astenia, intolleranza allo sforzo, dispnea e presincope. Possono formarsi trombi atriali, che determinano un significativo aumento del rischio di ictus embolico. La diagnosi è basata sull’ECG. Il trattamento comprende il controllo della frequenza con i farmaci che agiscono sul nodo AV, la prevenzione del tromboembolismo con la terapia anticoagulante e talvolta il controllo del ritmo con farmaci antiaritmici o la cardioversione elettrica.

 

Si pensa che la fibrillazione atriale rifletta la presenza di molteplici onde che derivano da piccoli rientri caotici che si sostengono all’interno degli atri. Tuttavia, in molti casi, l’attivazione di un focus ectopico all’interno di strutture venose adiacenti agli atri (solitamente le vene polmonari) è responsabile sia dell’inizio che del mantenimento della fibrillazione atriale. Nella fibrillazione atriale gli atri non si contraggono e il sistema di conduzione atrioventricolare è bombardato da molteplici stimoli elettrici, provocando un’incostante trasmissione dell’impulso dagli atri ai ventricoli e una frequenza ventricolare irregolarmente irregolare, che però solitamente ricade nel range della tachicardia.

La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune riscontrata in clinica e colpisce circa 2,3 milioni di adulti negli Stati Uniti. Gli uomini e i bianchi hanno un numero maggiore di probabilità di esserne affetti rispetto alle donne e ai neri. La prevalenza aumenta con l’età; quasi il 10% delle persone di età > 80 anni ne è affetto. La fibrillazione atriale tende a verificarsi in pazienti con disturbi cardiaci di base.

Complicazioni di fibrillazione atriale

L’assenza di contrazioni atriali predispone alla formazione di trombi; il rischio annuale di un evento embolico cerebrovascolare è di circa il 7%. Il rischio di ictus è maggiore nei pazienti più anziani e nei pazienti con valvulopatia reumatica, valvola cardiaca meccanica, ipertiroidismo, ipertensione, diabete, disfunzione sistolica ventricolare sinistra o precedenti episodi tromboembolici. Gli emboli sistemici possono anche causare disfunzioni o necrosi di altri organi (p. es., cuore, rene, tratto gastrointestinale, occhi) o di un arto.

La fibrillazione atriale può anche alterare la gittata cardiaca; la perdita di contrazione atriale può abbassare la gittata cardiaca a frequenza cardiaca normale di circa il 10%. Tale diminuzione è generalmente ben tollerata, tranne quando la frequenza ventricolare diventa troppo veloce (p. es., > 140 battiti/min), o quando i pazienti hanno gittata cardiaca borderline o bassa dall’inizio. In questi casi, può svilupparsi un’ insufficienza cardiaca.

 

Le cause più frequenti di fibrillazione atriale sono

Cause meno frequenti di fibrillazione atriale sono

La fibrillazione atriale isolata è la fibrillazione atriale senza causa identificabile, nei pazienti di età < 60 anni.

Complicazioni della fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale parossistica è una fibrillazione atriale che dura < 1 settimana dopo essersi convertita spontaneamente o tramite un intervento a ritmo sinusale normale. Gli episodi possono ripetersi.

La fibrillazione atriale persistente è una fibrillazione atriale continua che dura > 1 settimana.

La fibrillazione atriale persistente di lunga durata dura > 1 anno, ma vi è ancora la possibilità di ripristinare il ritmo sinusale.

La fibrillazione atriale permanente non può essere convertita in ritmo sinusale (il termine comprende anche i pazienti per i quali è stata presa la decisione di non tentare la conversione in ritmo sinusale). Più lunga è la durata della fibrillazione atriale, meno probabile è la sua conversione spontanea a ritmo sinusale e più difficile è la sua cardioversione a causa del rimodellamento atriale (cioè, cambiamenti nell’elettrofisiologia atriale dovuti alle alte frequenze di attivazione atriale, come la riduzione della refrattarietà atriale, l’aumento della dispersione spaziale della refrattarietà atriale, e/o la riduzione della velocità di conduzione intra-atriale).

Sintomatologia della fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale è spesso asintomatica, ma molti pazienti lamentano palpitazioni, vago fastidio toracico o sintomi da insufficienza cardiaca (p. es., debolezza, sensazione di testa vuota, dispnea), in particolare quando la frequenza ventricolare è molto rapida (spesso 140-160 battiti/min). I pazienti si possono presentare anche solo con sintomi e segni di un ictus cerebrale acuto o di un danno ad altri organi dovuto a embolia sistemica.

Il polso è irregolarmente irregolare con perdita di onde a al polso venoso giugulare. Può essere presente un deficit di polso (la frequenza ventricolare rilevata mediante auscultazione cardiaca è maggiore della frequenza rilevata al polso) perché il volume di eiezione sistolico ventricolare sinistro non è sempre sufficiente a produrre un’onda pressoria periferica per un battito strettamente accoppiato al battito precedente.

Diagnosi della fibrillazione atriale

  • Elettrocardiografia (ECG)

  • Ecocardiografia

  • Prove di funzionalità tiroidea

La diagnosi di fibrillazione atriale viene eseguita tramite ECG (vedi figura Fibrillazione atriale). I reperti comprendono

  • Assenza di onde P

  • Presenza di onde f (fibrillatorie) tra i complessi QRS; le onde f sono irregolari per frequenza e morfologia; ondulazioni di base a frequenza > 300/min, solitamente meglio visibili nella derivazione V1, e non sempre evidenti in tutte le derivazioni

  • Intervalli R-R irregolarmente irregolari

Fibrillazione atriale

Fibrillazione atriale

 

Altri ritmi irregolari possono ricordare la fibrillazione atriale all’ECG, ma si distinguono per la presenza di onde P discrete o di onde di flutter, che talvolta si possono rendere più evidenti con l’ausilio di manovre vagali. Il tremore muscolare o un’interferenza elettrica possono assomigliare alle onde f, ma il ritmo sottostante è solitamente regolare. Durante la fibrillazione atriale si può verificare un fenomeno che simula le extrasistoli ventricolari o la tachicardia ventricolare (fenomeno di Ashman). Questo fenomeno si presenta tipicamente quando un intervallo RR breve segue un intervallo RR lungo; l’intervallo più lungo allunga il periodo refrattario del sistema di conduzione sotto-Hissiano e i successivi complessi QRS sono condotti con aberranza, tipicamente con morfologia tipo blocco di branca destra.

L’ ecocardiogramma e i test di funzione tiroidea sono fondamentali nella valutazione iniziale. L’ecocardiogramma viene eseguito per valutare la presenza di cardiopatie strutturali (p. es., ingrandimento atriale sinistro, alterazioni della cinetica segmentaria del ventricolo sinistro che suggeriscono ischemia in atto o pregressa, valvulopatie, cardiomiopatie) e per identificare ulteriori fattori di rischio di ictus (p. es., stasi ematica o trombo in atrio sinistro, placche aortiche complesse). È più probabile che i trombi atriali si localizzino nelle auricole dove vengono meglio individuati con l’ecocardiogramma transesofageo piuttosto che transtoracico.

Trattamento della fibrillazione atriale

  • Controllo della frequenza con farmaci o l’ ablazione del nodo atrioventricolare

  • A volte, controllo del ritmo con cardioversione sincronizzata, farmaci, o ablazione del substrato della fibrillazione atriale

  • Prevenzione del tromboembolismo

Se si sospetta una significativa patologia sottostante, i pazienti con fibrillazione atriale di primo riscontro possono trarre beneficio dal ricovero; i pazienti che si presentano con recidiva, solitamente non necessitano dell’ospedalizzazione se non vi è indicazione legata alla presenza di altri sintomi. Una volta che le cause reversibili sono state identificate e corrette, il trattamento della fibrillazione atriale si incentra sul controllo della frequenza ventricolare, sul controllo del ritmo e sulla prevenzione del tromboembolismo.

Controllo della frequenza ventricolare

I pazienti con fibrillazione atriale, quale che sia la durata, necessitano di uno stretto controllo della frequenza (in genere frequenza cardiaca a riposo < 100 battiti/min) per controllare i sintomi e prevenire la cardiomiopatia indotta dalla tachicardia.

Per i parossismi acuti a elevata frequenza (p. es., 140-160 battiti/min), sono utilizzati i bloccanti del nodo atrioventricolare EV (per le dosi, vedi tabella Farmaci antiaritmici). ATTENZIONE: i bloccanti del nodo atrioventricolare non devono essere usati nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White, quando una via atrioventricolare accessoria è coinvolta (indicati dalla durata del QRS); questi farmaci aumentano la frequenza della conduzione attraverso la via accessoria, causando la fibrillazione ventricolare. I beta-bloccanti (p. es., metoprololo, esmololo) sono da preferire se si sospetta un eccesso di catecolamine (p. es., nei disturbi della tiroide, i casi indotti da esercizio). Sono efficaci anche i calcio-antagonisti non-diidropiridinici (p. es., verapamildiltiazem). La digossina è il farmaco meno efficace, ma può essere di scelta nei pazienti con insufficienza cardiaca. Questi farmaci possono essere usati anche per via orale, per ottenere un adeguato controllo della frequenza a lungo termine. Quando i beta-bloccanti, i calcio-antagonisti non-diidropiridinici e la digossina, separatamente o in combinazione, non sono efficaci, può essere necessario l’amiodarone.

Controllo del ritmo

Nei pazienti con insufficienza cardiaca o altra forma di compromissione emodinamica attribuibile direttamente a una fibrillazione atriale di recente insorgenza, è indicato il ripristino del ritmo sinusale per migliorare la gittata cardiaca. In altri casi, la conversione della fibrillazione atriale a ritmo sinusale può essere ottimale, ma bisogna tenere in considerazione che i farmaci antiaritmici solitamente usati (classe Ia, Ic, III) hanno effetti avversi e possono aumentare la mortalità. La conversione a ritmo sinusale non elimina la necessità di una terapia anticoagulante cronica.

Per la conversione acuta, possono essere utilizzati la cardioversione elettrica sincronizzata o i farmaci. Prima di tentare la cardioversione, la frequenza ventricolare deve essere controllata a < 120 battiti/min, e molti pazienti devono essere anticoagulati (per i criteri e i metodi, vedi Prevenzione del tromboembolismo durante il controllo del ritmo). Se la fibrillazione atriale è presente da > 48 h, ai pazienti deve essere generalmente somministrato un anticoagulante orale (la conversione del ritmo, indipendentemente dal metodo usato, aumenta il rischio di tromboembolismo). L’anticoagulazione deve essere mantenuta per > 3 settimane prima della conversione o possono essere somministrati per un tempo più breve prima della conversione se l’ecocardiografia transesofagea non mostra la presenza di trombi nell’atrio sinistro. L’anticoagulazione deve essere mantenuta per almeno 4 settimane dopo la cardioversione. Molti pazienti hanno bisogno di una terapia anticoagulante cronica (vedi Misure a lungo termine per prevenire il tromboembolismo).

La cardioversione sincronizzata con shock bifasico (100 joule, seguiti da 200 e 360 joule se necessario) converte la fibrillazione atriale a ritmo sinusale nel 75-90% dei pazienti, tuttavia il tasso di recidive è alto. L’efficacia della cardioversione e il mantenimento del ritmo sinusale dopo questa migliorano se, nelle 24-48 h precedenti la procedura, vengono somministrati farmaci antiaritmici di classe Ia, Ic o III. La cardioversione è più efficace nei pazienti con fibrillazione atriale di minore durata, fibrillazione atriale isolata o fibrillazione atriale da causa reversibile; è meno efficace quando l’atrio sinistro è ingrandito (diametro antero-posteriore > 5 cm), il flusso in auricola è ridotto o è presente una significativa cardiopatia sottostante.

farmaci usati per il ripristino della fibrillazione atriale nel ritmo sinusale comprendono gli antiaritmici di classe Ia (procainamide, chinidina, disopiramide), Ic (flecainide, propafenone) e III (amiodarone, dofetilide, dronedarone, ibutilide, sotalolo) (vedi tabella Farmaci antiaritmici). Globalmente, sono efficaci in circa il 50-60% dei pazienti, ma gli effetti avversi variano da farmaco a farmaco. Questi farmaci non devono essere usati finché la frequenza ventricolare è controllata da un beta-bloccante o da un calcio-antagonista non-diidropiridinico. I farmaci con formulazioni orali, utili per la conversione del ritmo, sono anche usati per il mantenimento del ritmo sinusale a lungo termine (con o senza una precedente cardioversione). La scelta dipende dalla tolleranza del paziente. Tuttavia, per la fibrillazione atriale parossistica che si verifica solamente (o quasi solamente) a riposo o durante il sonno, cioè, quando il tono vagale è elevato, sono particolarmente efficaci i farmaci con azione vagolitica (p. es., disopiramide). La fibrillazione atriale indotta dall’esercizio fisico si previene più efficacemente con un beta-bloccante.

Per alcuni pazienti con fibrillazione atriale parossistica recidivante, che sono in grado di identificare l’insorgenza dell’aritmia per la comparsa dei sintomi, alcuni medici prescrivono al bisogno una singola dose di carico orale di flecainide (300 mg per i pazienti  70 kg altrimenti 200 mg) o propafenone (600 mg per i pazienti  70 kg, altrimenti 450 mg), che i pazienti portano con sé e si auto-somministrano quando avvertono le palpitazioni (strategia “pillola-in-tasca” o “pill-in-the-pocket”). Questo approccio deve essere limitato ai pazienti che non hanno disfunzione sinusale o del nodo atrioventricolare, blocco di branca, allungamento del QT, sindrome di Brugada, o cardiopatia strutturale. La sua pericolosità (stimata all’1%) consiste nella possibilità di convertire la fibrillazione atriale in un flutter atriale lento, in grado di condurre 1:1 al ventricolo, con frequenza cardiaca nel range di 200-240 battiti/min. Questa potenziale complicazione può essere ridotta in frequenza dalla somministrazione contemporanea di un farmaco di soppressione nodale atrioventricolare (p. es., un beta-bloccante o un calcio-antagonista non-diidropiridinico).

Nei pazienti con insufficienza cardiaca, gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), gli inibitori dei recettori dell’angiotensina II (ARB) e gli anti-aldosteronici possono attenuare la fibrosi miocardica che agisce da substrato per il mantenimento dell’aritmia, ma il ruolo di questi farmaci nel trattamento di routine della fibrillazione atriale è ancora da definire.

Prevenzione del tromboembolismo durante il controllo del ritmo

I pazienti, in particolare quelli in cui l’episodio corrente di fibrillazione atriale è presente > 48 h, hanno un alto rischio di tromboembolismo per diverse settimane dopo la cardioversione farmacologica o elettrica. Se l’inizio dell’episodio corrente di fibrillazione atriale non è chiaramente entro 48 h, il paziente deve essere scoagulato per 3 settimane prima e per almeno 4 settimane dopo la cardioversione a prescindere dal rischio di un evento tromboembolico previsto per quel paziente.

In alternativa, viene iniziata la terapia anticoagulante, viene effettuata un’ecocardiografia transesofagea, e se non c’è evidenza di coagulo dell’auricola atriale sinistra, può essere tentata la cardioversione, immediatamente seguita da almeno 4 settimane di terapia anticoagulante orale.

Se è necessaria una cardioversione urgente a causa della compromissione emodinamica, si esegue la cardioversione e l’anticoagulazione viene iniziata non appena è possibile e continuata per almeno 4 settimane.

Se l’inizio dell’episodio corrente di fibrillazione atriale è chiaramente entro 48 h, la cardioversione può essere eseguita senza la previa anticoagulazione se il paziente ha fibrillazione atriale non valvolare e non è ad alto rischio di un evento tromboembolico. Dopo la cardioversione, la terapia anticoagulante è prescritta per 4 settimane; tuttavia, l’anticoagulazione può non essere necessaria in pazienti a basso rischio di un evento tromboembolico.

Dopo 4 settimane di terapia anticoagulante postcardioversione, in alcuni pazienti è necessaria terapia anticoagulante a lungo termine (vedi oltre).

Procedure di ablazione per la fibrillazione atriale

Per i pazienti che non rispondono alla terapia o che non possono assumere i farmaci per il controllo del ritmo, può essere utile l’ ablazione del nodo atrioventricolare, finalizzata a causare un blocco atrioventricolare completo; è poi necessario l’impianto di un pacemaker definitivo. L’ablazione di una sola via nodale, solitamente quella rapida (modulazione del nodo atrioventricolare), riduce il numero di impulsi atriali che raggiungono i ventricoli ed elimina la necessità di un pacemaker, ma questo approccio è considerato meno efficace di un’ablazione completa e oggi viene raramente usato.

Le procedure di ablazione che realizzano l’isolamento elettrico delle vene polmonari dall’atrio sinistro possono prevenire la fibrillazione atriale senza causare blocco atrioventricolare. In confronto ad altri tipi di ablazione, l’isolamento delle vene polmonari ha un tasso di successo inferiore (60-80%) e un più elevato tasso di complicanze (1-5%). Di conseguenza, questa procedura è spesso riservata ai candidati migliori (p. es., i pazienti più giovani che non hanno alcuna cardiopatia strutturale significativa, i pazienti senza altre opzioni come quelli con fibrillazione atriale farmaco-resistente, o i pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca.

Prevenzione a lungo termine del tromboembolismo

Misure a lungo termine per prevenire il tromboembolismo sono utilizzate per alcuni pazienti con fibrillazione atriale durante il trattamento a lungo termine a seconda della stima del rischio di ictus contro il rischio di sanguinamento.

I pazienti con stenosi mitralica reumatica e i pazienti con valvole cardiache artificiali meccaniche sono considerati ad alto rischio di un evento tromboembolico come lo sono i pazienti con fibrillazione atriale non valvolare che hanno fattori di rischio addizionali. I fattori di rischio aggiuntivi sono identificati con il punteggio CHA2DS2-VASc (vedi tabella Punteggio CHA2DS2-VASc).

Le linee guida per la terapia antitrombotica nella fibrillazione atriale differiscono in diverse regioni. Le current guidelines negli Stati Uniti sono le seguenti:

  • La terapia anticoagulante orale a lungo termine è raccomandata nei pazienti con stenosi mitralica reumatica, valvola meccanica cardiaca artificiale, e fibrillazione atriale non valvolare con un punteggio CHA2DS2-VASc ≥ 2 negli uomini e ≥ 3 nelle donne (livello di raccomandazione I) e può essere tenuta in considerazione per i pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e un punteggio CHA2DS2-VASc ≥ 1 negli uomini e ≥ 2 nelle donne (livello di raccomandazione IIb).

  • Nessuna terapia antitrombotica è raccomandata nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare e un punteggio CHA2DS2-VASc di 0 negli uomini e di 1 nelle donne (classe di raccomandazione IIa).

  • I pazienti con fibrillazione atriale e una valvola cardiaca meccanica (s) sono trattati con warfarin.

  • I pazienti con fibrillazione atriale e significativa stenosi mitralica sono trattati con warfarin.

Per i pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, che devono essere trattati con un anticoagulante orale, una raccomandazione di classe I viene fornita per warfarin con un rapporto internazionale normalizzato (INR) di 2,0 a 3,0, apixaban, dabigatran, edoxaban e rivaroxaban. Per i pazienti idonei per la terapia anticoagulante con un anticoagulante antagonista della vitamina K, come il warfarin, o un anticoagulante non antagonista della vitamina K come apixaban, dabigatran, edoxaban o rivaroxaban, sono preferiti gli anticoagulanti non antagonisti della vitamina K (classe di raccomandazione I).

Queste linee guida generali sono alterate nei pazienti con insufficienza renale più che moderata.

L’auricola atriale sinistra può essere chiusa con intervento chirurgico o per via percutanea transcatetere quando la terapia antitrombotica appropriata è controindicata.

Il rischio di sanguinamento di un singolo paziente può essere stimato con uno qualsiasi di una serie di strumenti prognostici di cui il più comunemente usato è l’HAS-BLED (vedi tabella HAS-BLED strumento per predire il rischio di emorragie in pazienti con fibrillazione atriale). Il punteggio HAS-BLED serve meglio a individuare le condizioni che, se modificate, riducono il rischio di sanguinamento, piuttosto che nell’identificare i pazienti con un più alto rischio di sanguinamento, che non devono ricevere terapia anticoagulante.

Fonte :  https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-dell-apparato-cardiovascolare/aritmie-e-disturbi-della-conduzione/fibrillazione-atriale#top

CM Medical Devices

CM Medical Devices

View all posts by CM Medical Devices

Nel settore del medicale da oltre 20 anni, nasco come tecnico di prodotti sanitari (ventilatori polmonari) per poi diventare product specialist , responsabile di sala neurovascular e oggi area manager centro sud Italia

Correlati

Lascia un commento