Cpap o BILEVEL nell’Edema Polmonare Cardiogeno ?
Nelle linea guida sulla ventilazione non-invasiva della European Respiratory Society e della American Thoracic Society le uniche due raccomandazioni “forti” sono a favore dell’utlizzo della ventilazione non-invasiva nella ipercapnia con riacutizzazione di BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e nell’edema polmonare cardiogeno. Abbiamo già discusso in precedenza l’utilizzo della ventilazione non-invasiva nella riacutizzazione di BPCO (vedi post del 25/04/2018), ora ragioniamo sul suo utilizzo nei pazienti con edema polmonare cardiogeno.
L’applicazione di una pressione positiva intratoracica ha molteplici effetti benefici sulla disfunzione ventricolare sinistra e l’insufficienza respiratoria ad essa associata.
Effetto della ventilazione positiva su ritorno venoso, portata cardiaca e postcarico del ventricolo sinistro nell’edema polmonare cardiogeno.
Si sente dire che un effetto positivo della ventilazione meccanica nell’edema polmonare sia la riduzione del ritorno venoso. Questa affermazione non è banale e merita qualche riflessione. L’edema polmonare cardiogeno è caratterizzato da un profilo di bassa portata: se il ventricolo sinistro potesse avere una portata cardiaca normale, non avremmo una condizione di edema polmonare. Abbiamo visto in altre occasioni come portata cardiaca e ritorno venoso siano ovviamente uguali. Potrebbe quindi apparire paradossale che la riduzione del ritorno venoso in una condizione di bassa portata possa essere un evento favorevole: se si riduce il ritorno venoso, si riduce ulteriormente la portata cardiaca?
Per capire questo apparente paradosso, facciamo un salto indietro nel tempo di oltre 100 anni. Spesso pensiamo alla cosiddetta “legge di Starling” in termini di precarico. Ma a mio modo di vedere, riferendosi allo studio originale di Patterson e Starling del 1914 (2), si dovrebbe pensare alla “legge di Starling” in termini di ritorno venoso.
Nella figura è riprodotto il preparato anatomico utilizzato nella sperimentazione. Il sangue arriva all’atrio destro (cioè il ritorno venoso, segnato dalle frecce rosse) da un reservoir posto 35 cm al di sopra del cuore. Il ritorno venoso viene modificato da una clip a vite (freccia blu). Le variazioni di pressione venosa sono quindi secondarie alle variazioni del ritorno venoso: più si apre la clip a vite, più sangue arriva all’atrio destro, più aumenta la pressione venosa all’ingresso del cuore.
Vediamo ora cosa succede modificando il ritorno venoso (cioè aprendo e chiudendo la vite che lo regola). Ho modificato l’orientamento della figura 2 rispetto all’originale e, per i suddetti motivi, ho aggiunto all’asse della pressione venosa la dizione “ritorno venoso”.
Nella figura sono rappresentati i risultati degli esperimenti condotti in 9 cani. Possiamo vedere che, aumentando il ritorno venoso, la portata cardiaca inizialmente ha un incremento di notevole entità, ma progressivamente l’incremento di portata cardiaca si affievolisce (le curve riducono la pendenza). In alcuni soggetti, addirittura, la portata cardiaca si riduce quando il ritorno venoso diventa eccessivo per la capacità contrattile del ventricolo (la curve che si inclinano verso il basso nella parte terminale).
In parole semplici, l’aumento del ritorno venoso aumenta la portata cardiaca fintantoché il ventricolo riesce a smaltire tutto il flusso che gli arriva. Ma il ventricolo ha dei limiti alla propria capacità di eiezione, legati prevalentemente alla propria contrattilità ed al postcarico. Quando al ventricolo arriva più sangue di quanto esso sia capace di eiettare, questo si accumula a monte del cuore, aumentando le pressioni venose. Con un duplice effetto: la riduzione del ritorno venoso (vedi post del 30 aprile 2013) e l’edema polmonare idrostatico. E’ proprio quello che accade nell’edema polmonare: il ritorno venoso è eccessivo rispetto alla capacità di pompa del ventricolo sinistro.
Per questo motivo la pressione positiva intratoracica, pur riducendo il ritorno veoso, non dimuisce la portata cardiaca, che è già limitata dalla performance del ventricolo sinistro, ma adegua il ritorno venoso alle possibilità di eiezione.
La pressione positiva intratoracica riduce anche il postcarico del ventricolo sinistro, cioè il carico contro cui il ventricolo sinistro deve lavorare per eiettare il sangue. Il postcarico ha come determinante la pressione transmurale, cioè la differenza tra la pressione intravascolare e quella intratoracica. La riduzione della pressione transmurale e del postcarico hanno come effetto positivo la diminuzione del consumo di ossigeno miocardico a parità di portata cardiaca.
Effetto della ventilazione a pressione positiva sulla funzione respiratoria nell’edema polmonare cardiogeno.
I soggetti con edema polmonare acuto hanno una riduzione della compliance dell’apparato respiratorio (3). Questo significa che un respiro costa loro molta più fatica di quanto non accada ai soggetti senza edema polmonare. La CPAP è capace di aumentare la compliance dell’apparato respiratorio (4), ridimensionando questo problema. E’ però anche vero che l’applicazione di un supporto di pressione durante l’inspirazione (che la CPAP non eroga) porta ad una ulteriore riduzione del consumo di ossigeno dei muscoli respiratori (5), che nei pazienti con insufficienza cardiorespiratoria è comunque molto elevato (in media il 20% del consumo di ossigeno complessivo, con picchi anche oltre il 50%) (6).
CPAP o BILEVEL nell’edema polmonare cardiogeno?
Le linee guida ritengono equivalenti la scelta di una pressione positiva continua (CPAP) o di una con supporto inspiratorio (BILEVEL). Questo può essere ragionevole nei pazienti con edema polmonare senza evidenti segni di insufficienza dei muscoli respiratori (cioè senza ipercapnia, utilizzo dei muscoli accessori della ventilazione, respiro paradosso). Tuttavia nei pazienti con insufficienza dei muscoli respiratori o che non migliorano dispnea e tachipnea con la sola CPAP, ritengo che sia preferibile il supporto inspiratorio di una BILEVEL.
Con la ventilazione meccanica, c’è sempre il problema delle sigle. Per BILEVEL qui intendiamo una ventilazione che aumenta la pressione durante l’inspirazione, definita normalmente pressione di supporto nei ventilatori per ventilazione invasiva. Per la regolazione del supporto inspiratorio rimando ai post del 02/01/2014 e del 30/04/2017.
Quando preferire l’intubazione tracheale alla ventilazione non-invasiva nell’edema polmonare cardiogeno.
La ventilazione non-invasiva non è la ventilazione di scelta nei pazienti più gravi con disfunzione ventricolare sinistra. Infatti tutti gli studi hanno escluso i pazienti con shock cardiogeno, quindi le raccomandazioni alla ventilazione non-invasiva non sono estendibili ai pazienti che hanno bisogno di un supporto farmacologico del circolo. In questi pazienti potrebbe essere preferibile l’intubazione tracheale e la ventilazione meccanica invasiva, soprattutto se l’inizio della ventilazione non-invasiva non determina un rapido ed evidente miglioramento clinico.
La ventilazione non-invasiva (in qualsiasi condizione patologica) è poi da interrompere ogni volta che non sortisce rapidamente gli effetti clinici desiderati. Quando una terapia non funziona, deve essere cambiata. La non-invasività non è un valore se il trattamento è inefficace…In questi casi è meglio una intubazione precoce seguita da una estubazione precoce (come avviene di norma nell’edema polmonare se viene intubato) piuttosto che una intubazione tardiva che avrà poi un esito incerto.
Fonte : http://www.ventilab.it/2019/09/ventilazione-non-invasiva-ed-edema.html