La deambulazione dei pazienti paraplegici: tecnologie a confronto
Un grande dilemma unisce il mondo della medicina al mondo dell’ingegneria biomedica: ciò che è tecnologicamente avanzato, è la scelta migliore per il paziente?
Il paziente o la tecnologia al centro della cura?
La tecnologia, al pari della scienza, compie passi vorticosi continuamente. Qualcosa che è innovativo oggi, non lo sarà più tra sei mesi. La tecnologia ingegneristica viaggia veloce e talvolta rischia di lasciare indietro un pezzo importante: l’utente finale, che in questo caso è il paziente.
Occorre dunque domandarsi se la progettazione di un dispositivo medico sia veramente basata sul riscontro dell’utente finale. Inoltre, la realizzazione di una struttura tecnologica per la disabilità deve essere confrontata con ciò che è già stato progettato, soprattutto dal punto di vista del diversamente abile.
Il caso specifico: sedia a rotelle verticalizzante ed esoscheletro
Il caso specifico che si vuole qui analizzare è la differenza tra due strutture tecnologicamente complesse; dai costi decisamente differenti, ma che si prefiggono lo stesso obiettivo: permettere, a chi ha perso l’uso delle gambe, di poter di nuovo scegliere se stare seduti o in posizione eretta, in qualsiasi momento.
Esoscheletro
L’esoscheletro è una struttura indossabile che, tramite ortesi (tutori), permette di aumentare, assistere e sorreggere il movimento degli altri inferiori. I primi esoscheletri non nacquero per scopi biomedicali, bensì per scopi industriali. Il primo prototipo, realizzato con un funzionamento ad aria compressa, risale al 1880 grazie a Nichola Yang. Il primo esoscheletro industriale vide la luce negli anni ’70 con la General Electrics, che progettò “Hardiman”. Si trattava di una struttura di potenziamento che permetteva ad una persona normodotata di sollevare fino a 680 kg, limitando così l’utilizzo delle macchine sollevatrici.1 A causa però di una struttura elettronica non adeguata alle scoperte dell’epoca, il progetto venne abbandonato (Figura 1).
Il progetto “Hardiman” venne ripreso in chiave riabilitativa dall’Università di Berkeley e dal Prof. Kazerooni, sviluppando uno dei primi esoscheletri per gli arti inferiori. Il “BLEEX”, acronimo di “Berkeley Lower Extremity Exoskeleton”, è considerato ancora oggi il capostipite dei dispositivi per la riabilitazione e per l’assistenza dei pazienti paraplegici.2
L’azienda californiana Ekso Bionics iniziò a produrre “Bleex” per il settore biomedicale, diventando oggi è una delle aziende leader del settore.
Nello stesso periodo, in Israele, l’ingegnere Amit Goffer progettava un esoscheletro per scopo biomedicale3, fondando nel 2001 la Rewalk Robotics e presentando l’esoscheletro indossabile “ReWalk” ancora oggi in commercio, chiaramente potenziato negli anni (Figura 2).
Oggi la tecnologia si è evoluta e sono aumentate le aziende che si sono fatte spazio nel panorama tecnologico, risolvendo il principale problema riscontrato nei primi dieci anni degli anni 2000, ovvero l’utilizzo delle stampelle. I nuovi dispositivi in commercio bilanciano il baricentro del paziente rendendo non necessario – appunto – l’uso delle stampelle.
Il problema principale che riscontrano i pazienti in merito all’utilizzo dell’esoscheletro è, inizialmente, il costo. Un esoscheletro di ultima generazione, composto da batteria a litio e struttura in fibra di carbonio, ha un costo che si aggira intorno ai 55 mila euro per il modello base, a salire per i modelli più performanti.
In aggiunta, molti pazienti lamentano una diversa problematica data dalla “sensazione di camminamento”, che non sarebbe adeguata alle aspettative. Anzi, la sensazione che molti pazienti segnalano è quella di movimenti troppo rigidi e cadenzati, che si discostano dalla sensazione di camminamento che ci si aspetterebbe. Uno studio approfondito dell’Istituto Superiore di Sanità4 ha effettuato una ricerca di settore tra i professionisti e i pazienti utilizzatori, riscontrando che il paziente mieloleso non sceglie l’esoscheletro per motivi di costo, di pesantezza della struttura e per la presenza di nuovi modelli di assistività per la deambulazione verticalizzante.
Sedia a rotelle verticalizzante
La prima sedia verticalizzante vide la luce nel 1992 in Giappone, grazie alla Automated-Guided Wheelchair NEC Corporation. Successivamente, molte altre aziende hanno iniziato a fare ricerca su questi nuovi dispositivi dal grande potenziale.
Tecnologicamente non si tratta di qualcosa di complesso. Un motore a pistone viene installato sull’asse delle ruote, che possono essere da 4 a 6 in base al baricentro che si sceglie di utilizzare. Il paziente è assicurato alla sedia tramite gli immobilizzatori per le ginocchia e le caviglie, oltre alle cinghie poste all’altezza del bacino e del petto (nel caso di lesione al dorso che non consente la reggenza del paziente stesso).
Vi è anche la possibilità di immobilizzare il capo e gli arti superiori, con apposite cinghie di posizionamento. Su uno dei due braccioli viene posto il joystik per la mobilitazione effettiva. In alcuni modelli è presente un ulteriore supporto tra gli arti inferiori, simile ad una piccola “sella” (Figura 3).
Il movimento della sedia verticalizzante è possibile solo in piano e non in salita o in discesa, in quanto il baricentro non garantirebbe la stabilità, soprattutto per pazienti alti oltre 1.70 m. Tale ausilio pesa intorno agli 80 kg e quindi non è adatto per pazienti affetti da obesità patologica.
Il costo è nettamente inferiore rispetto all’esoscheletro, essendo anche tecnologicamente una struttura molto meno complessa, e si aggira intorno ai 7.000 €. Prima dell’uso prolungato, è necessario un percorso fisioterapico per rafforzare i muscoli degli arti inferiori, che probabilmente sono deboli dagli anni passati seduti o distesi. Infatti, il sostegno effettivo del paziente avviene sulle proprie gambe.
Le differenze
Tra l’esoscheletro e la sedia verticalizzante ci sono molteplici differenze. Quelle maggiori sono tecnologiche.
In un esoscheletro sono presenti tecnologie elettroniche, mentre nella sedia verticalizzante vi è una tecnologia puramente meccanica. questa differenza rende diametralmente opposti i due dispositivi e incide notevolmente sul prezzo di acquisto.
Il peso specifico è un’altra grande differenza che incide notevolmente sulla scelta del paziente. Basti pensare che l’esoscheletro si prefigge di simulare la camminata e quindi ha supporti per singola gamba oltre ai dispositivi di piegamento per le ginocchia e il bacino. La sedia verticalizzante è invece un veicolo su ruote, che permette al paziente di spostarsi esattamente come la normale sedia a rotelle, ma in posizione eretta.
Infine, la differenza maggiore riguarda la scelta del paziente. Per quanto riguarda l’Italia, la sedia verticalizzante è stata inserita nel Nomenclatore Tariffario, ovvero il documento di riferimento che permette ai pazienti di beneficiare di una riduzione parziale o totale dei costi che vengono sostenuti dall’azienda sanitaria locale di riferimento (per quanto concerne il modello base; le eventuali modifiche richieste dal paziente sono a suo carico). Al contrario, l’esoscheletro non rientra nel Nomenclatore ed è quindi a totale carico dell’utilizzatore finale.5
Cosa offre il mercato
La tecnologia che si prefigge di ridare ai pazienti con mielolesioni la posizione eretta è in continua crescita. Gli esoscheletri di ultima generazione dotati di touchscreen e di batterie al litio sono già in commercio e il futuro è ricco di materiali super leggeri e tempi di ricarica veloci.
Nel campo delle sedie verticalizzanti invece si sta invertendo la rotta verso una tecnologia cinetica e non più meccanica. I ricercatori del Center for Bionic Medicine di Chicago (USA) hanno brevettato nel 2017 la prima sedia a rotelle verticalizzante a forza cinetica, cioè che si muove grazie alla forza del paziente stesso. Infatti, è dotata di due cinghie di trasmissione che ricordano le ruote di un carroarmato.
Le differenze tra le due tecnologie sono sostanziali. Tecnologicamente è ben chiaro cosa sia più avanzato e cosa invece sia meno elettronico.
L’ingegneria biomedica si fonda certamente sul progresso scientifico, ma anche sul benessere del paziente che è e sarà sempre il più importante giudice del lavoro di un ingegnere biomedico.